Manage promises, not people

Parliamo di un errore che ho commesso spesso, senza saperlo.

Parliamo di un errore che commettiamo in tanti, spesso.

Parliamo di un errore che spesso finisce per farci ottenere l’effetto contrario rispetto a quello desiderato.

Parliamo della tendenza di molti manager, piccoli o grandi, a gestire le persone, invece degli obiettivi o delle promesse.

Ma aspetta… il lavoro del manager non è quello di gestire le persone?

A parer mio lo è quanto quello del developer è scrivere codice, cioè QB (quanto basta).

Cerco di spiegarmi partendo dal developer: il lavoro del developer è sì scrivere codice, ma un dev non dovrebbe essere pagato per la quantità di codice, bensì per la qualità del suo codice.

Un detto che mi piace molto recita “Il codice cancellato è codice debuggato”.
Questo significa che se sei in grado di togliere del codice che non serve, non ti servirà fare manutenzione sul quel codice.

Se lo scopo primo fosse solo scrivere più codice possibile nel minor tempo possibile varrebbe la pena investire su corsi di stenografia invece che di algoritmi. (Questo è un punto che evidenzio sempre anche nelle discussioni con i “VIM master race” e quelli che “Sì, ma con la tastiera meccanica scrivo lo 0.5% più in fretta.”, e che hanno meno di 10 anni di esperienza nel settore. Se scrivi più di quanto pensi c’è qualche problema, funziona come per il parlare.)

Allo stesso modo credo che il compito di un manager sia sì quello di gestire le persone, ma solo quel “poco” che basta a fare in modo che la tutta la nave remi nella giusta direzione.

Non mi aspetto di vedere il capitano di una nave passare mezz’ora del suo tempo a fissare il mozzo incaricato di fissare le cime, allo stesso modo non mi aspetto un manager che passa il suo tempo a scrutinare ogni azione dei membri del suo team.

Eppure, spesso sono stato colpevole proprio di questo.

Troppo spesso mi sono posto domande come “Ma come posso essere sicuro che venga fatto se non controllo?”, “Ma se poi non lo fanno devo risolvere io, meglio controllare direttamente” o peggio ancora “A questo punto conviene che lo faccia io, almeno sono sicuro che venga fatto come serve”.

E cosa ho ottenuto da questo? Semplice: frustrazione, risultati sub ottimali e stress, per me e per il team.

Perchè? Per lo stesso motivo per cui la mamma ti manda a suonare personalmente il campanello del vicino quando il pallone finisce nell’altro giardino, perchè devi imparare le conseguenze delle tue azioni.

Perchè se c’è qualcuno che continua a dirti cosa e come fare devi solo eseguire le istruzioni, nei sei spronato a trovare nuove strade o nuove soluzioni e soprattutto hai sempre una rete di sicurezza, che per quanto pressante è comunque lì a dirti come risolvere il problema quando si presenta, invece che cercare di sviluppare delle capacità di problem solving da poter sfruttare la volta dopo.

Perchè l’unica cosa che devi fare è fare quello che ti viene detto, ma così non hai la possibilità di dare il tuo tocco personale, o di spingerti al limite delle tue possibilità per superare un ostacolo e soprattutto non sei obbligato a spiegare i motivi del tuo fallimento, perchè qualcuno ti ha detto cosa fare per tutto il tempo.

L’assunzione di responsabilità e l’evitare il blaming per i fallimenti sono due delle cose più difficili da fare in un team, però è proprio su questo che dobbiamo lavorare, perchè se il team è fatto di persone che collaborano si possono raggiungere grandi risultati, ma se il team è fatto di “burattini” che vengono accusati di non funzionare più appena qualcosa non va lo spettacolo fallisce.

Quindi, stando alle parole di Amir Raveh, CEO e Founder di HYPE, che cosa dovremmo fare per migliorare questo aspetto della gestione dei team?

È semplice, dovremmo cominciare a gestire le promesse, non le persone.

Rendete ognuno responsabile delle sue promesse. Chiedete l’obiettivo finale, chiedete che cosa può essere utile per raggiungerlo e poi lasciate che le persone facciano il loro lavoro.

Fissate dei checkpoint, chiedete se ci sono variazioni nel target atteso, gli imprevisti possono succedere.

Qualcuno non è in grado di raggiungere il suo obiettivo? Date la possibilità di ammettere il fallimento e di assumersene la responsabilità, e poi chiedete se esiste un modo per il team di contribuire al raggiungimento di quella promessa nonostante l’apparente sconfitta.

Qualcuno riuscirà a raggiungere obiettivi migliori del previsto? Riconoscete il merito e chiedete se il team può contribuire per raggiungere risultati addirittura migliori dei nuovi previsti.

Arrivati alla deadline tirate le somme, le sconfitte non sono definitive e i successi non sono finali, l’importante è capire cosa ha funzionato e cosa no e capire se le persone sono all’altezza delle loro promesse, perchè sono le promesse che dobbiamo gestire, non le persone.

Vi assicuro che nell’ultimo anno ho vissuto in parte questa trasformazione, un po’ inconsapevolmente. Credo che il ruolo del manager dovrebbe essere quello del facilitatore, quello del catalizzatore, dovrebbe aiutare le persone a raggiungere il loro massimo potenziale, guidandoli e cercando di dare loro gli strumenti migliori per rendere al massimo.

Ogni persona è unica e vede, sa e conosce cose che noi non vediamo, sappiamo e conosciamo.

Investiamo nelle persone, investiamo nel team, investiamo nel singolo e nel gruppo.

Supportare la realizzazione degli altri non è altro che un modo per aiutarci a realizzare noi stessi.


Questo post è stato ispirato da una talk fatta da Amir Raveh, CEO e Founder di HYPE, durante un bootcamp per il progetto SPIN LAB ITALY presso Progetto Manifattura.


Siete d’accordo? Non lo siete? Commentate, scrivetemi, parlatemi.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

Alla prossima cari lettori, come sempre sono grato per il tempo che mi dedicate!


BONUS: io bello fiero del mio badge.

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